martedì 19 giugno 2012

Notte prima degli esami : l'ansia e la voglia di arrivare a domani!

domenica 10 giugno 2012

Tempesta notturna.

E d'improvviso scoppiò la tempesta. Nessun preavviso, nessuna nuvola che poteva far sorgere un dubbio, durante quella giornata afosa. Una tempesta improvvisa, un scoppio di tamburi, buturuntutum.  E pioggia. Acqua che innaffia il mondo. Come vernice, dipinge i palazzi. Come un innaffiatoio innaffia i passanti che maldestri corrono senza ombrello. E chi è fortunato, si gode questo spettacolo dietro un vetro, una finestra, uno spiraglio. Uno spettatore che guarda gli inconsapevoli attori, mentre ballano sotto la pioggia. Plic Plic Plic. La tempesta si placa. E dopo il trambusto, l'acqua, le maledizioni arriva il dono: il cielo limpido regala la luna, piena, accompagnata dalle sue fedeli compagne, stelle fortunate, che illuminano la notte. E così, tra tamburi, luci, attori, spettatori finisce così, uno spettacolo estivo, il tempo di una corsa, di una risata , di un amore. Una tempesta notturna.

domenica 3 giugno 2012

La terra trema. Ed io ho paura. La terra trema. E niente la ferma. La terra trema e la mia terra frana.

Domenica pomeriggio II

Dalla finestra aperta entravano il profumo del mare e il pallido sole pomeridiano. Sdraiata sul letto, mi sentivo come graziata. Mi sentivo fortunata. Amo la domenica pomeriggio. Soprattutto d'estate. Soprattutto distesa a letto. Soprattutto con lui. La piccola finestra dava dritta sugli scogli e dal letto potevi vedere il mare fondersi con il cielo, in un punto indefinito dell'orizzonte. Tutto era perfetto. Anche la musica che gracchiava alla radio. Anche il suo lieve russare.  Lo guardavo dormire come un bambino, su in fianco, le gambe piegate e le mani strette a pugni. E russava. Faceva quasi ridere. Il petto nudo che si alzava e si abbassava, delicatamente, i capelli arruffati, la bocca tutta arricciata, schiacciata contro il cuscino, lo rendevano bello. Il mio moro. Gli diedi un bacio sulla guancia e senza far rumore mi alzai. Entrando in cucina, mi venne una voglia matta di fare una torta. Aprii il frigo e presi le uova e il latte, poi la farina, lo zucchero e il cocco. Una cocco pie, come la chiamava il mio moro.  Accesi il forno per farlo riscaldare e incominciai a fare la torta che anni prima mi aveva insegnato mia madre. Quattro uova, otto cucchiai di zucchero, dodici-quindici di farina, latte , scaglie di cocco. Semplicemente una torta da domenica. Mentre ero alle prese con l'impasto, Il Moro entrò in cucina. Stropicciandosi gli occhi, mi abbracciò da dietro, annusandomi i capelli. Mi piace che hai i capelli corti e il collo scoperto, mi disse. Di nascosto, mi immersi le dita nel cremoso impasto. Lo guardai negli occhi, con le braccia incrociate dietro. Come sei carino oggi. Io sono sempre carino. Ma quando mai. Si avvicino all'orecchio. Io sono sempre carino con te. Sussurrò piano prima di mordermi l'orecchio. Una risatina da oca giuliva uscì con naturalezza dalla mia bocca.Lo guardai dritto negli occhi, con intensità, voglia e dolcezza. Lui si avvicinò piano, socchiudendo gli occhi, guardandomi le lebbra, con tutto quell'amore che solo lui aveva. E io, che quando son felice faccio sempre la cosa più sciocca, gli sporcai la guancia di impasto. Lui si scostò, prese la scodella con l'impasto e cominciò a inseguirmi per tutta casa. Correvamo come due bambini, a perdi fiato, ridendo, urlando. Non correvo così da anni. Non ridevo così da anni. E mentre scendevo per la millesima volta dal letto, lo guardai. Il Mio Moro, a petto nudo, davanti alla finestra, con il mare che incorniciava la sua figura. il Mio Moro, che sorrideva e mi sfidava a prenderlo. Io e Il Mio Moro. Io e Lui. Amo la domenica pomeriggio.

Domenica pomeriggio.

Era domenica, un'altra maledetta domenica pomeriggio. E dovevo studiare, ma i libri mi spiavano mentre cercavo di fare tutt'altro. Anzi riuscivo perfettamente a fare tutt'altro. Seduta sul davanzale della finestra a gambe incrociate, guardavo il mare. Le onde, la schiuma, i gabbiani, i coraggiosi che correvano e i bagnanti fortunati. Mi dava i brividi. Il rumore delle onde che sbattevano piano sulla spiaggia, mi facevano venir voglia di cantare, urlare, ballare. Un'euforia interna che voleva esplodere. Fuochi d'artificio. Guardai per l'ultima volta i libri e maledicendoli amorevolmente saltai giù dal davanzale, direttamente sul prato. " Dovrebbero proibire lo studio di domenica". Il vestitino bianco svolazzava, emozionato dalla nostra uscita inaspettata. I miei erano fuori e non sarebbero tornati prima di cena. Tutti i ragazzi normali della mia età ne avrebbero approfittato avendo casa libera ma io mi deprimevo sapendo che non c'era nessuno in casa. Uscii dal cancello di dietro scavalcandolo tranquillamente. Sarei stata via un'oretta, non di più. Camminavo piano, gustandomi la prima domenica decente da mesi. Evitai accuratamente i luoghi affollati, dirigendomi verso il angolo di quiete, come lo chiamavo io. Un muretto, niente più. Un muretto con dei fiori, vicino al mare, più precisamente agli scogli. Quindi quasi nessun bagnante. Amavo andare li anche d'inverno, quando il mare s'ingrossava. Ma all'inizio dell'estate, con i cespugli in fiore, era magnifico. Con un piccolo saltello, mi sedetti sul mio muretto. Aprii il librone di disegno che avevo portato con me e cominciai a disegnare. Non era un vero e proprio disegno ma scarabocchi, appunti, frasi. Dovevo liberarmi della noia. E poi, così d'improvviso, alzai gli occhi e lo vidi. No, non era come nei film. Nessuna visione angelica, nessun coro celeste e niente rallentatore. Ma lo vidi. E era bello. Correva e i pantaloni gli si arrotolavano intorno alle cosce, mettendo in risalto i muscoli. I polpacci in tensione gli davano un'aria atleticamente bella. La maglietta bianca, sudata, appiccicata come colla al suo corpo, non lasciava nulla all'immaginazione. Mi immagino la mia faccia : bocca socchiusa, occhi spalancati. Perfetta espressione da ebete. E visto che non sono in un film, il bellissimo moro dagli occhi verdi che a pochi metri da me correva, con I-pod e cuffie al seguito, che potevo sentirlo ansimare, ecco quel moro non si accorse di me. Nessun colpo di scena. Niente. Continuò per la sua strada. Anzi tornò anche indietro correndo incontro a una magnifica biondona, bellezza statuaria, bella anche con un sacchetto nero della spazzatura, la abbracciò e se la baciò. Ovvio. Un figo con una figa. Richiusi di scatto il librone, lo misi in borsa e mi incamminai verso casa. Io odio la domenica pomeriggio.