- Diario di una ritardataria. Il mio risveglio.
Apro gli occhi.
Mi stiracchio gustandomi il tepore del letto.
Posticipo di qualche minuto la sveglia.
Sbadiglio, pensando a quando potrò dormire ancora.
Scendo stancamente dal letto.
Mi copro, la stanza è ancora fredda.
Entro in bagno, mi lavo, mi asciugo i capelli.
Con l'acqua fredda cerco di darmi una svegliata.
Accendo il cellulare, impaurita dalle notizie del mondo là fuori.
guardo i messaggi, sperando di trovarne uno suo.
Rispondo a messaggi e mail, posando bene le parole.
Organizzo la mia giornata, ripensando ai vari impegni e scadenze.
Scelgo attentamente i vestiti, cambiandomi molte, troppe volte.
Guardo fuori dalla finestra.
Chiedo un consiglio a mia madre.
Mi specchio, e già stravolta non mi cambio più, convincendomi che va bene ciò che ho scelto.
Bevo il caffè, gustandomi ogni sorso.
Mi accorgo che è già tardissimo.
Preparo la borsa.
Mi infilo in bagno.
Mi trucco.
Mi metto il profumo.
Mi sistemo i capelli.
Scelgo se mettermi il rossetto, frustata dal ritardo imminente.
Prendo la borsa.
Cerco le scarpe.
Non trovo il giubbotto.
Urlo in giro per casa, chiedendo se hanno visto la sciarpa e il giubbotto.
Controllo il cellulare, i minuti passano velocemente.
Avviso con un sms che sarò in ritardo, colpa della metro.
Preparo il biglietto per i mezzi.
Prendo le chiavi e le infilo nel giubbotto.
Bacio frettolosamente mia madre sulla guancia.
Le dico che farò sapere a che ora tornerò a casa.
Scendo di corsa le scale.
Diario di Bordo - Diario di una ritardataria. Il mio risveglio.
Scusate, perdonatemi, chiedo umilmente scusa per questo mese di silenzio. Potrei trovare mille scuse, ma sarei comunque imperdonabile. La realtà è che mi sto buttando in un campo che amo, l'editoria digitale, cercando di scrivere articoli culturali, nel frattempo mi sto impegnando in un progetto molto interessante e presto vedrete la mia faccia in alcuni video sul web. Mi sto buttando, sto cercando la mia strada, facendo troppo spesso il punto della situazione. Mi fa stare bene, sono serena, felice. Forse sono proprio le parole la mia via. Anzi, ne sono sicura.
Ecco un'altra nostra tappa, un esercizio. Niente pensieri, solo azioni. Io, che ho una scrittura moltissimo introspettiva, dove metto sensazioni, pensieri ed emozioni al primo posto, sto cercando di guardare oltre, descrivendo solo le azioni. Un esercizio molto utile, soprattutto se si prende spunto dalla realtà. Questa è la descrizione di ogni mia mattina.
Ci vediamo presto, magari con un'altra descrizione, forse di una città.
Grazie a chi mi legge, vi sarò sempre grata.
La vostra ritardataria e casinista, Lu.
Lunedì 1 Aprile, 2013
- La Domenica di Pasqua più cara Profuma di Nonno.
http://www.senzabarcode.it/2013/03/31/la-domenica-di-pasqua-piu-cara-profuma-di-nonno/
Diario di Bordo- La Domenica di Pasqua più cara Profuma di Nonno.
Per questa nostra tappa ho deciso di postarvi il link del mio racconto, pubblicato su SenzaBarcode.
la parte più difficile della stesura è stata, sicuramente, trovare una storia da raccontare per il giorno di Pasqua, scegliendo sentimenti a noi vicini come l'invidia, la gelosia oppure l'ammirazione.
Spero che vi sia piaciuto, io mi sono divertita moltissimo a farlo.
Ci leggiamo giovedì 4 Aprile.
A presto Anime,
Lu.
Venerdì 29 marzo 2013
- Vengo anch'io, no tu no!
"Vengo anch'io, no tu no!"
Te la ricordi? Me la cantavi sempre tu. E quando ridevamo, perchè noi lo zoo comunale lo conoscevamo bene, e ci andavamo spesso. Mi ci portavi tu, mentre io a cavalcioni sulle tue spalle mentre accarezzavo la "Bua", la tua bella stempiatura. Mi ricordo le tue canzoni e le tue filastrocche, i tuoi abbracci, le tue risate, le nostre. Ero la tua bimba grande, tu il mio preferito (e unico) nonno. Il mio Re. E se anche al mio Lui le gambe non le hai rotte, lo sapevi che come te nessuno mi avrebbe capito. Ci capivamo subito e quando pensavo di confidarti qualcosa tu sapevi già tutto. Vedevi oltre i miei occhi, conoscevi la mia anima, che insieme a te è cresciuta.
Ve ne siete andati entrambi, tu senza la tua voce, e il cantante della nostra canzone. Chissà se da lassù mi guardate ancora, se ridete e cantante insieme. Chissà, chissà, chissà...
Volati via come due angeli, con le note del cuore. Ed io che nel mio ho te.
Diario di Bordo - Vengo anch'io, no tu no!
Un omaggio a Enzo Jannaci che, inconsapevole, ha svolto un ruolo importante nella mia vita e nel rapporto con uno degli uomini più cari per me. La sua scomparsa mi ha toccato molto, e nel mio piccolo sono vicina a chi cammina in questo dolore.
E noi, Anime, ci leggiamo Lunedì 1 Aprile.
La vostra sognatrice, Lu
Martedì 26 Marzo 2013.
- Credo.
" Credo nei sogni, come credo ai fantasmi, alla natura e a qualcosa di Grande". Mi voltai. L'aveva detto così, di punto in bianco, davanti a una tazza di caffè, in una giornate uggiosa, seduta comodamente in veranda.
" Si, ci credo proprio." aggiunse.
La guardai, smarrito.
"Io non lo so in cosa credo." sembrava dispiaciuta.
" Ho bisogno di credere" sorseggiò piano " non può essere tutto qui."
" E cosa c'è, allora?"
"C'è tutto. Una fonte del Sapere che noi ignoriamo, continuando la nostra vita, come se nulla fosse." Non capivo e lei lo sapeva.
" Le coincidenze, i sogni che un giorno si realizzano, gli uragani, le tempeste, la pioggia sono la conferma che non tutto è terreno o materiale, ma che un mondo, invisibile forse, o così palpabile che diamo per scontato, vive con noi, dentro di noi, ogni giorno. Come il caffè: il caffé è una bevanda, scura, amara, intensa.E' composto da mille granuli. Noi non li vediamo e li diamo per scontati, ma senza quei granuli, quella polvere, sarebbe solo acqua calda."
Posai lo sguardo sul fondo del mio caffè.
"Io ho bisogno di crederci" sentenziò.
Diario di Bordo - Credo.
Questo dialogo è nato da un bisogno: poter dire che io credo. C'è chi crede in Dio, chi negli spiriti, chi negli Dei: io semplicemente Credo. Volevo sperimentare la forma del dialogo, dato che l'ho appena intrapreso nella scuola di scrittura. Il viaggio è ancora lungo per creare un dialogo che funzioni, certamente lo rifarò. Mi piace questa forma narrativa.
A venerdì Anime Mie,
Lu.
Sabato 23 Marzo, 2013
- Chissà.
Il respiro accelerato, la testa che, vorticosamente, non riesce a stare ferma mentre la nostra risata risuona in tutta la stanza. Siamo solo noi, eppure il mondo è tutto qui. Parliamo, sottovoce e velocemente, come se il tempo non ce ne fosse, come se qualcuno ci ascoltasse, come se tutto dovesse finire. E forse lo sapevamo che, un giorno, ognuna avrebbe preso la sua strada, prendendo in mano la sua vita, diventando donne, da sole. Si, lo sapevi. Chissà se i gigli te li tatuerai ancora, chissà se a trentanni penserai ancora a noi, ai nostri segreti davanti a un caffè. Chissà se è per questo che il tuo segreto me lo hai detto allora, scendendo da un bus lercio, tra una vecchietta e un bambino urlate. Mi avevi detto che lo tenevi per te, fino a quando, io con figli e tu di ritorno da qualche viaggio, in qualche località sperduta, me lo avresti confidato tra il profumo di un caffè. Chissà. A volte ci spero ancora, di vedere un tuo messaggio, di vederti, di sfuggita, tra le strade trafficate di Milano. Ci spero ancora. Ho tante cose da dirti, tante cose ancora da chiederti. Ma ha ancora importanza?
Non lo so.
E sono venti, e penso a te, e ripenso a noi.
Ti voglio bene.
Diario di Bordo - Chissà.
Questo non è un racconto, ne un dialogo ne una descrizione. Questa è una dedica, una riflessione. Perché la scrittura è riflessione sul mondo e su di noi. Forse dovevo scrivere di più, ma non ci riesco. A volte scrivere è più facile di parlare, ma è sempre faticoso ricordare una perdita.
A martedì 26 Anime mie,
la vostra intristita Lu.
Mercoledì 20 Marzo, 2013
- 20 Marzo.
Se ne stava fermo, immobile, mentre la città correva. All'incrocio, la pioggia scrosciate ungeva l'asfalto, ormai nero lucido. Uno specchio. Non parlava ma cercava nelle persone uno sguardo di conforto. Ma nelle città, nessuno ha tempo, neanche per concedere uno sguardo. Con l'ombrello scassato, rotto in vari punti e mai riparato, aspettava. Aspettava la speranza che aveva perduto, anni fa, e forse stava tornando, su un treno sudicio, che puzza di vecchio. Lui aspettava davanti alla stazione Centrale. La sua speranza stava tornando, gli avevano detto. L'aveva aspettata, sognata per anni, giorni e notti, quelle notti infinite a ricordare gli abbracci, i sorrisi, le promesse e il suo dolce profumo. Stava arrivando. Guardava l'orologio. Era già mezzora che dall'angolo della strada, scrutava l'uscita della stazione. Niente. Il freddo trapassava dai vestiti, sferzando la carne, deciso ad entrare fin dentro le ossa. Congelava. La pioggia contava i secondi, scandendo il tempo. Plic plic. Un'orologio naturale. E poi arrivò. Un sorriso smagliante, una mantellina gialla. Correva e saltava. L'aveva visto e non riusciva a stare ferma. Corse anche lui, il cuore in gola, non curante della pioggia che, incessantemente, continuava a cadere. Lanciò l'ombrello di lato e la prese in braccio, stretta a lui, poteva sentire finalmente il suo profumo. Rideva, lei, una risata cristallina, pura e senza finzioni. Gli schioccò mille baci sulle guance pungenti.
"Mi sei mancato papà".
Diario di bordo - 20 Marzo.
Oggi è il 20 Marzo, la giornata mondiale della felicità, quindi ho deciso di scrivere una storia felice. Un padre che aspetta la propria bambina, con la stessa trepidazione di un uomo che aspetta la sua donna. Amore puro, in ogni caso, per questo ho deciso di scrivere solo alla fine che la "donna" che lui aspettava era una piccola bimba. Mi è piaciuto scrivere questa storia, ispirandomi alla pioggia che non lascia Milano da giorni. Milano mi ispira sempre.
Ci ritroviamo qui sabato 23 Marzo.
Grazie,
La vostra milanesissima Lu.
Domenica 17 Marzo, 2013.
-Aula 4
Parla al microfono. un accento forte, che raddoppia ogni lettera. una contro cento, forse duecento. La lavagna a scorrimento sembra la sua migliore amica: la guarda, l'accarezza attraverso il bianco pulito del gesso. Nero su bianco, come la sua materia: fisica. Velocità, tempo e accelerazione si alternano formando equazioni e disequazioni. Il borbottio aumenta man mano che la lezione prosegue. Il tono piatto dell'interlocutrice, le pause degli "mmm" e degli "ohoh" rallentano la spiegazione accelerando la fuga generale. Dalle ultime file i più scoraggiati buttano la spugna preferendo il tiepido sole di metà marzo. Ma sono gli impavidi quelli che restano, si lanciano battutine e occhiate di conforto. Mal comune, mezzo gaudio è il sovrano indiscusso in questa aula non più gremita di universitari.
Diario di Bordo- Aula 4
Questa piccola descrizione di una lezione universitaria è nata per caso. Non frequento l'università ed era la prima volta che entravo in un'aula. Pensavo di ascoltare per farmi un'idea, invece mi sono messa a scrivere. Ho incominciato a guardarmi intorno e ho deciso di descrivere ciò che i ragazzi accanto a me stavano vivendo. Non molto spesso mi soffermo sulle descrizioni, per questo è stata una bella esperienza, che rifarò assolutamente e al più presto. L'unico problema che ho avuto nella stesura è soffermarmi sui dettagli, cercare di trovare le parole giuste. Mi dovrò esercitare, per migliorarmi.
Ci leggiamo mercoledì 20.
Con la neve che cade dalle finestre, la vostra Lu.
Giovedì 14 Marzo, 2013.
-Incipit
Il terrore nel loro sguardo mi perseguita anche fuori dall'ospedale. tanfo di morte che si impregna nei vestiti, sui capelli, sulla pelle. Il loro volto scompare divorato dalla paura.Sussurrano, piano, a fatica. Sembro il loro confessore. Mi chiedono cos'hanno avuto, quanto tempo gli resta, se riusciranno a dormire. Per loro sono la salvezza. Ti prego smettila di fissarmi e chiudi gli occhi. Non lo capisci che sono impotente? Non lo capisci?
Ho sempre avuto un rapporto strano, distaccato con la paura e il dolore, per questo ho deciso di diventare infermiera: per comprenderli. Eppure, dopo anni, non li ho ancora capiti. Ti prego dormi, oppure vuoi che mi innervosisco? No, non lo vuoi. Non lo volevano neanche gli ultimi cinque che sono passati di qui, gli ultimi che mi credevano il loro angelo salvatore. Ma io non sono la salvezza di nessuno, non sono la scelta di nessuno. Sono solo l'ultima persona che vedrete, il vostro angelo della morte.
Diario di Bordo- Incipit
L'incipit è l'inizio di una storia, che sia un racconto o un romanzo. Quello che ho pubblicato era un esercizio per la scuola di scrittura. la storia è la seguente: un'infermiera si innamora del fidanzato della sua migliore amica. Dopo che le sono morti gli ultimi cinque pazienti, ha in cura un uomo. L'uomo che lei ama la lascia per sposarsi.
Ho deciso di dare un taglio cupo alla storia, torbido, dove l'instabilità mentale dell'infermiera si capisca. Spero di esserci riuscita. Lo sbaglio che ho fatto è stato mettere l'ultima frase perché chiude un po' il cerchio, creando un raccontino finito. Quando si scrive un incipit bisogna lasciare un'apertura che si collegherà al resto della storia. magari sarebbe stato più intrigante se io non avessi scritto che lei era un'infermiera.
Spero che vi sia piaciuto, ci vediamo Domenica 17 marzo.
La vostra straLunata Lu.
Lunedì 11 Marzo, 2013
- Diversamente Uniche. 1
Se ne stava lì, con la lacerante
certezza che la sua diversità l'avrebbe sempre segnata. Diversa
dalle sue sorelle, se pur sempre Gerbera, non era ne rossa, ne
bianca, ne rosa. Malediceva il giorno in cui, la natura, aveva fatto
con lei come i pittori fanno con le tele: l'aveva dipinta
racchiudendo in lei tutta la gamma dei colori. Anche se odiava quel
suo essere nulla ma al tempo stesso tutto, sentiva dentro di se
l'incredibile certezza che un giorno qualcosa sarebbe cambiato. Un
istinto o forse un bisogno. Lei lo sapeva. Le Rose, che accanto a lei
sfoggiavano la bellezza circolare dei loro petali bordeaux, erano le
predilette: portatrici di passione e segno di amore, si vantavano di
essere le prescelte dagli uomini, che presi dalla terribile paura di
sbagliare, sceglievano a colpo sicuro ciò che libri, film, e
romanticismo avevano loro insegnato. Banalmente, non si soffermavano
a guardare ciò che il piccolo fiorista aveva da offrire: mazzi
colorati in cui i fiori facevano a gara a chi era più vivace, più
brillante; piante la cui delicatezza ornava palazzi lussuosi e
piccole casine di campagna; vasi di fiori in cui era racchiusa tutta
la brezza leggera, il profumo della terra e il sapore del sole. Era
la bottega dei desideri e se non prestavi attenzione ti potevi
perdere in mezzo a tutti quei colori, assuefatto dal profumo della
natura. La chimica non era ancora arrivata a contaminare la realtà.
Mentre i giorni si susseguivano, alternandosi in una danza eterna,
arrivò il giorno tanto atteso dai fiori quanto dagli innamorati: San
Valentino. Tutti erano pronti, il fioraio sistemava i fiori, le
piante, e a lei, alla Gerbera, la guardò con lo stesso amore che un
padre riserva alla propria figlia il giorno del suo matrimonio.
Accarezzò i delicati petali appuntiti, sorridendo appena. Sapeva che
sarebbe stata l'ultima occasione per ammirarla nella dolce luce di
fine inverno, quando il sole pallido risalta i piccoli petali,
abbagliando chi ha la fortuna di ammirarli. La Gerbera sapeva che il
momento tanto atteso sarebbe arrivato: la sua diversità l'avrebbe
ripagata per tutti gli sguardi e le carezze negati. Lei, che era
fiore, che era bellezza, che era natura, stava per diventare dono,
portatrice d'amore, non comune ma unica, diversità non dispregiativa
ma elogiativa. Lei che era Gerbera, era più preziosa di qualsiasi
Rosa, di qualsiasi bouquet. Donne e bambini entrarono nella piccola
bottega delle meraviglie come in processione, recitando una lentezza
senza tempo, ammirando ogni singolo fiore, ogni bouquet, ogni più
piccola pianta. Gli uomini irrompevano in quella bolla senza tempo,
infrangendo la calma con la loro prepotenza, l'ansia e la fretta di
chi deve donare senza pensiero. Compravano le narcisiste Rose, senza
degnare di uno sguardo ai mille colori, ai mille fiori che adoravano.
E alla fine, quando il sole stava calando dietro le montagne
innevato, entrò lui: nello sguardo la fierezza di chi conosce ogni
singola sfumatura del dolce sapore che solo l'amore riesce a dare,
con la delicatezza di mani che a lungo hanno accarezzato, sollevato e
abbracciato, con la forza di un animo puro e limpidamente buono. Si
soffermò a guardare, uno ad uno, ogni fiore, ogni bouquet, ogni
pianta. Sapeva che in ognuno di loro era racchiusa la forza, la
bellezza, la tenacia della natura. Ammirava, sorrideva, sfiorava.
Voleva il dono perfetto per colei a cui aveva dedicato ogni suo
giorno e ogni sua notte. Quando la fierezza del suo sguardo si posò
su di lei, dove era racchiusa tutta la sconfinata bellezza dei
colori, un lungo e inaspettato sorriso fiorì, rallegrando il viso da
ragazzino. Era lei, lo sapeva. L'accolse tra le sue braccia, come una
figlia. Ringraziò il fiorista e uscì. L'invidia degli altri fiori
era palpabile, ma a lei non interessava. Lei era dono, pegno d'amore,
segno di devozione e fiducia. Lei era un tassello nel legame che
univa indissolubilmente quei due animi. Arrivata a casa, la donna era
seduta su una poltrona di vimini. La natura le aveva negato la
sconfinata gioia del correre in un prato e la semplice bellezza di
mettersi in punta di piedi per schioccare baci. Seduta da tempo su
quella sedia, riusciva a gioire delle piccole cose, quelle più
minuscole, che rimangono quasi all'ombra, ma che risplendono di luce
propria. Sapeva il valore di un abbraccio e di una giornata di
pioggia, adorava ascoltare le storie altrui, dimenticandosi la
propria. “Per una donna unica, un fiore unico”. La Gerbera e la
donna, legata dalla nascita da quella diversità che da sempre le
aveva distinte, potevano apprezzarsi l'un l'altra, ammirandosi. E
come ogni storia, la gerbera riposò in eterno in una tomba bianca,
fatta di fogli, parole, storie, amori e paure. Donò il suo profumo a
quel candore, chiedendosi in eterno se il profumo dei libri è dovuto
hai piccoli fiori nascosti tra le leggere pagine ingiallite.
- Diversamente Uniche. 2
Se ne stava lì,certa che la sua
diversità l'avrebbe sempre segnata. Diversa dalle sue sorelle, se
pur sempre Gerbera, malediceva il giorno in cui la natura aveva fatto
con lei come i pittori fanno con le tele: l'aveva dipinta
racchiudendo in lei la gamma dei colori. Le Rose si vantavano di
essere le prescelte dagli uomini che presi dalla paura di sbagliare
sceglievano a colpo sicuro ciò che dettava il romanticismo. Non si
soffermavano a guardare le meraviglie che la bottega dei desideri
aveva da offrire. I giorni passarono e finalmente arrivò la festa
tanto attesa dai fiori quanto dagli innamorati:San Valentino. Alle
luci dell'alba il fioraio guardò la piccola Gerbera con lo stesso
amore che un padre riserva alla propria figlia il giorno del
matrimonio. Accarezzando i delicati petali appuntiti sapeva che
sarebbe stata l'ultima occasione per ammirarla. Stava per diventare
dono d'amore. Entrarono gli uomini con la loro prepotenza e la fretta
di chi deve donare senza pensiero, ignorando ciò che li circondava.
Infine entrò lui con lo sguardo fiero di chi conosce ogni singola
sfumatura del dolce sapore dell'amore,si soffermò a guardare ogni
fiore. Voleva il dono perfetto per colei a cui aveva dedicato ogni
giorno e ogni notte. Quando il suo sguardo si posò sulla gerbera un
lungo sorriso fiorì. L'accolse tra le sue braccia come una figlia.
L'invidia degli altri fiori era palpabile, ma alla Gerbera non
interessava. Lei era dono, pegno d'amore, un tassello del legame che
univa quei due cuori. Arrivati a casa, la donna stava seduta: la
natura le aveva negato la bellezza di potersi mettere in punta di
piedi ma nonostante ciò riusciva a gioire delle piccole cose che
risplendono di luce propria. La Gerbera e la donna, legate fin dalla
nascita da quella diversità che da sempre le aveva distinte,
poterono finalmente apprezzarsi l'un l'altra. E infine la gerbera
riposò in eterno in una tomba bianca fatta di fogli, parole, storie
e inchiostro. Donò il suo profumo a quel candore, chiedendosi se
l'odore dei libri è dovuto hai piccoli fiori nascosti tra le pagine
ingiallite.
Diario di Bordo- Diversamente Uniche.
Questi due racconti hanno la stessa storia ma la narrazione e la lunghezza sono molti diverse. Era un esercizio per la scuola di scrittura creativa che sto frequentando e, colpa della mia disattenzione, ho fatto il racconto troppo lungo. Essendo un racconto breve, avevo il massimo di 2000 battute, io l'avevo fatto di 4000. Ho deciso di postarvi sia quello sbagliato che quello giusto, così potrete vedere dove e soprattutto cosa ho tolto o riscritto. Grazie mille,
A giovedì 14 Marzo!
Un viaggio, un incontro, un appuntamento. Io e voi, ogni tre giorni, ci troviamo qui, in questa stanza della mia folle dimora. Nuove storie, molti dialoghi, creative descrizioni e i miei strampalati pensieri. In occasione del nostro incontro pubblicherò nuovi racconti, un appuntamento a cui non potrò tirarmi indietro. Oggi lo giuro e mai lo rinnegherò. Come ogni viaggio che si rispetti, ci sarà anche il "Diario di bordo", dove, attraverso piccole riflessioni, vi spiegherò i problemi che ho affrontato durante la narrazione. Vi racconterò le mie difficoltà affrontate durante la stesura, la pubblicazione, vi parlerò il mio bisogno di creare e dell'infinità nascita delle mie idee, dalla progettazione alla realizzazione.
Dalla partenza conosciuta, si parte per una meta ancora tutta da scoprire. In fondo, non è importante dove andrai, dove poserai le valigie, ma il viaggio per arrivarci, le emozioni, le sensazioni, le mille paure e la forza con cui le hai sconfitte e soprattutto chi ti ha accompagnato, sorretto, ascoltato, giudicato e apprezzato. Vi va di essere i miei compagni di viaggio?
Lu.
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