giovedì 6 dicembre 2012

Totalmente estranei.

Stavamo in silenzio, l'uno accanto all'altro. Non parlavamo. Avevamo molto in comune, una vita quasi. Lo sguardo di lui era perso, lontano, immerso nella foschia mattutina della stazione. Non poteva immaginare chi gli stava seduto accanto. Non sapeva chi ero davvero. Per lui ero un ragazzo qualsiasi che si era seduto accanto sul treno delle 7.oo. Invece ero molto di più. Mi perdevo nelle sue rughe, nei movimenti delle sue mani, veloci sui fogli lente sulle zip. Io lo conoscevo come un sogno lontano, un desiderio irreale. Lettere immense scritte per lui e ora potevo perdermi nel suo profumo. I suoi capelli mi erano assai familiari, come quel colore dei suoi occhi immersi nel grigio della città che scappava attraverso i finestrini. Una vita a immaginarmelo e ora potevo sfiorarlo, casualmente. La sua foto, ormai logorata all'interno della tasca dei jeans non gli dava giustizia. Volevo parlargli. digli qualcosa, ma le parole si bloccarono in gola, mentre il gole impazzito non mi dava il tempo di pensare. Io ero lui, lui era me. Solo il pensiero che eravamo così uniti ma totalmente estranei mi faceva girare la testa. Pensavo a noi, mentre lui si alzò, di scatto, dirigendosi verso la porta del vagone. Era la sua fermata. Un tonfo al cuore, un magone improvviso. Mentre lo vedevo correre attraverso gli enormi finestrini, notai come le sua braccia dondolassero appena. Eravamo più simili del previsto. Mi aggrappai a quel pensiero, mentre mi si riempiva il cuore di un amore incondizionato. Che bello che era il mio papà.

Nessun commento:

Posta un commento